Un anno si annòvera
e si ripone nel baule delle cose dismesse.
Un anno si annuncia.
Un altro libretto di pagine
ancora sigillato nella plastica
sullo scaffale dei nostri domani.
Ci saranno giorni freschi
che sanno di nuovo
da scartare in fretta e con gusto
come regali inattesi
e fin troppo desiderati
e notti dense di pensieri
che tornano a bordo di ricordi lontani
che credevamo persi per sempre
e che a ritrovarli ti sembra di aver ricevuto il premio più bello
e strade di cui non si vede la fine
e che si ficcano dritte nell'orizzonte
da fare tutte in un soffio e in un salto
mentre si faticano un metro alla volta.
La vita ha un senso almeno per questo:
va avanti.
Chissà perché.
Chissà come.
Chissà dove.
Va avanti in ogni momento senza mai fermare il suo passo
e il suo cammino ci trascina con sé
e noi ci lasciamo portare
nel viaggio del tempo.
Chi corre, chi marcia, chi arranca, chi rotola.
Chi cade e chi si rialza.
Chi guarda alle spalle.
Chi mira alle stelle.
Chi arriva e chi va.
Come gli anni vicini: il prossimo e il vecchio.
In mezzo facciamo una festa
rumore baldoria casino brindisi e auguri.
Senza capire mai bene se è più
la nostalgia per quello che termina
o l'ansia di novità per ciò che comincia.
Tra fame d'amore e sete di gioia
viviamo il passaggio e facciamo promesse.
Alzo il bicchiere più in alto che posso
fino al cielo e anche più su
e poi ne rovescio un poco sulle nostre teste e sul mondo.
Che ci porti più bene che può
e quel bene non vada sprecato
che di bene c'è tanto bisogno.
Che ci porti nei quartieri del cuore
dove si lotta ogni istante e si spera in eterno
perché il futuro è ancora un sogno.
GENOVA NON È PERSA, BASTA FANGO SULLA CITTÀ CHE AMO
C ' è un fango molto più devastante di quello che la natura ci getta in faccia quando proprio non ne può più dell'avidità, cieca e insaziabile, con la quale le mettiamo le mani addosso. È il fango - tutto umano - dell'indifferenza, della commiserazione, dell'oblio e, soprattutto, della menzogna. Quando ci voltiamo dall'altra parte, fingendo di non vedere; quando compatiamo, ma da lontano e con un cinico senso di distacco e superiorità; quando dimentichiamo chi è in difficoltà e ha bisogno del nostro aiuto e, soprattutto, quando mentiamo, sostenendo che, quella di fronte a noi, ormai è una battaglia persa, solo perché non abbiamo nessuna voglia di fare la nostra parte e combattere. Perché il fango della natura si può spalare via e, a lavoro finito, non ne resta più traccia. Il fango umano, invece, è invisibile e infido. Penetra ovunque, contamina tutto e tutto sporca: menti, cuori, coscienze, occhi, gesti, parole. Contro di lui nemmeno la pala degli angeli può nulla. Non a caso, oltraggiare o disonorare irrimediabilmente qualcuno si dice, appunto, infangare. Chi considera Genova disastrata e persa sta facendo questo: la sta infangando. E la colpisce una seconda volta. Ancora più duramente di quanto non abbia già fatto la mano della natura, armata - per ben due volte negli ultimi tre anni dalla stupida follia dell'uomo. Ho suonato a Genova qualche giorno fa: ho visto il disastro, certo, ma ho visto un corpo, non un cadavere. Un ferito, non certo un morto. Ho visto il disagio, la sofferenza, la rabbia, ma anche la determinazione, l'energia, la passione e la voglia di fare. E, soprattutto, la certezza che, lavorando insieme, si riuscirà a riparare la nave e a riprendere presto il mare. Ancora una volta, Genova non impara: insegna. Insegna ciò che solo una grande civiltà sa: che la cultura dell'io ci fa naufragare anche in un bicchier d'acqua, mentre quella del noi è in grado di farci affrontare qualunque mare. Con voi tutto è possibile. La più grande ricchezza di Genova, infatti, non è il mare, la sua abbacinante bellezza o la sua nobile storia: è la sua gente. Dritta, solida e fiera come una polena che, dalla prua del suo brigantino, fissa il mare negli occhi per fargli sapere chi comanda davvero. Lei non lo teme e lo cavalcherà. E, per quanto lui possa imbizzarrirsi e scalciare, lei non si lascerà disarcionare. Nulla fermerà la sua corsa. E, quando la tempesta infuria e la forza delle onde sembra sovrastarla, lei prende un lungo respiro, trattiene il fiato, abbassa la testa, incorna l'onda con la punta del bompresso, la fende e riemerge, per puntare di nuovo l'orizzonte, pronta allo scontro successivo. Tanto perché sia chiaro che non è per caso che si è meritata l'appellativo di "Dominante dei mari". Nulla le farà perdere la rotta e il suo carico arriverà sano e salvo a destinazione. Genova non è in ginocchio. Non lo è mai stata un solo giorno in tutta la sua storia. È non solo perché, da inginocchiati, è impossibile spalare il fango, mettere ordine nelle proprie cose e ricostruire ciò che c'è da ricostruire. Ma perché quello è il suo carattere. E, come la polena di quel brigantino, ci guarda dritto negli occhi. Non vuole il nostro fango. Vuole il nostro rispetto. Chi può aiutare, aiuti; chi non può, si tolga almeno il cappello. Ma, soprattutto, chi non ha una parola capace di vero conforto o soluzioni utili, rimanga in silenzio. Molto meglio tacere che infangare. Un grande amico - a lungo compagno di musica e vita, del quale sento sempre forte la mancanza - ripeteva spesso un modo di dire che definisce bene il carattere genovese: «Sono genovese - diceva - rido poco, stringo i denti e parlo chiaro». Era il suo ritratto. Ed è anche il ritratto nobile, austero, forte e franco della gente di qui. Gente che sa cosa vuol dire strappare la vita al mare e lottare, ogni giorno, per non farsela portare via. E che ha insegnato a tutti noi a condensare il senso di questa lotta senza fine nel distillato di versi e note di canzoni immortali. Per questo sono felice ogni volta che lo sciabordio amico di questo mare mi accoglie: perché ho la possibilità di provare ad essere degno dell'immenso lascito di maestri indimenticabili e, soprattutto, per l'opportunità di ricambiare l'affetto che la gente di qui ogni volta mi dimostra, con la speranza di riuscire - se non a rendere meno raro il suo riso - a regalarle almeno un sorriso in più. E una rinnovata emozione.
Claudio Baglioni